Esty Shapiro è una ragazzina di diciannove anni che vive a New York.
La serie potrebbe essere una tra le tante: ambientazione figa, problemi adolescenziali, relazioni che finiscono e invece no.
Lo spettatore viene catapultato nella comunità ultra-ortodossa chassidica, un microcosmo interno alla grande mela, un microcosmo fatto di divieti, regole e tradizioni molto probabilmente perpetuate più per abitudine che per vera credenza.

Ti rendi conto di come la libertà sia un bene prezioso, quando vedi una ragazza sposare un ragazzo imposto dalla famiglia.
Ti rendi conto di come la libertà sia un bene prezioso quando ti trovi davanti una ragazza a cui è proibito suonare uno strumento o cantare. Cantare, avete capito bene!
La comunità ortodossa prevede tante limitazioni di libertà, in generale per gli uomini, in particolare per le donne. Dall’abbigliamento, all’insegnamento della Torah, all’istruzione. Sì, perché le donne non ne possono riceverne una, il loro compito è sposarsi e fare figli.

La serie, tratta dall’autobiografia di Deborah Feldman, racconta una storia vera.
Dopo avervi descritto il contesto rappresentato dalla serie, senza spoilerare nulla, vorrei parlarvi di Esty, di questa ragazzina minuta, che si definisce “diversa” dalle altre. La sua diversità sta nel fatto di non voler accettare quella situazione inerme, al contrario combatte per cambiarla, andando contro le regole e rischiando.

Viene privata di tutta la sua femminilità, quando subito dopo il matrimonio le vengono tagliati i capelli, nel rispetto degli standard di modestia previsti dalla sua comunità, viene privata della sua privacy da una suocera invadente, preoccupata che il figlio non consumi il matrimonio.
L’unica cosa che la mantiene connessa al mondo reale è la musica, proprio la musica che non avrebbe potuto ascoltare o suonare.

C’è un momento nella serie che mi ha toccata, un momento in cui la forza di questa piccola grande donna emerge in tutta la sua dirompenza. Quando si spoglia della parrucca che è obbligata a portare (in osservanza dei principi di modestia previsti dal culto) e si abbandona completamente vestita in mare, lasciandosi alle spalle gli sguardi attoniti, incuriositi e smarriti. La scena è davvero d’impatto: la ragazzina “diversa” mette da parte le preoccupazioni e si lascia trascinare dal movimento lento di un mare completamente piatto, quasi a dire “benvenuta al mondo, Esty”.
Le restrizioni a cui è stata abituata sin da bambina e che dalle ragazze della sua cerchia sono viste come normali e a tratti rassicuranti, non hanno piegato la sua voglia di essere, ma al contrario l’hanno portata a galla in maniera travolgente.

Questa serie, in pochissime puntate (appena quattro), ha il potere di darti un pugno allo stomaco che ti fa svegliare dal torpore in cui viviamo e dall’abitudine. Ti fa notare come ancora oggi le donne nel mondo non godano della stessa libertà e degli stessi diritti degli uomini, che ad esempio noi italiane abbiamo cominciato a ottenere nel secondo dopoguerra. Al tempo stesso, ti lascia un messaggio di speranza: le cose possono cambiare, se uno lo vuole veramente e se intorno trovi persone pronte ad aiutarti.

Vi lascio con questo messaggio di speranza e vi invito alla riflessione qui o sui social!

Di seguito, il trailer della serie:

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