Palermitana di nascita, romana di adozione, oggi abbiamo con noi Gisella Blanco, autrice di “Melodia di porte che cigolano”.

Partiamo subito con la prima domanda. “Insolente, polemica, sofferta e sofferente con apici di nostalgia, di dolore ammesso senza vergogna”, così definisci la tua nuova raccolta di poesie “Melodia di porte che cigolano”. Il titolo mi incuriosisce, ancora di più il contenuto e quindi volevo chiederti come è nato tutto?

Ho pensato al titolo della mia silloge come a voler avvisare i lettori che avrei trattato temi graffianti, attraverso i quali si deve passare per forza per arrivare a una nuova consapevolezza.

Il titolo racconta l’idea di questa porta rimasta chiusa per tanto tempo, che nell’atto di essere aperta fa resistenza, producendo questo cigolio, questo stridore che rappresenta la resistenza che l’essere umano incontra nell’affrontare certe problematiche interiori e sociali che non può mancare di analizzare, problematiche attraverso cui è necessario passare per arrivare a una nuova apertura, problematiche che ho provato a esaminare con il mio libro.

Tra tutte le forme d’arte hai affidato alla poesia i tuoi stati d’animo e il tuo punto di vista sulla società. Perché proprio la poesia?

La poesia per me è stata un istinto, nel senso che da piccolissima ho avuto il desiderio di scrivere e l’ho fatto attraverso una forma poetica che naturalmente a 7 – 8 anni era chiaramente del tutto infantile, peraltro definita da me stessa poesia. Ho trovato delle poesie dedicate alle maestre o alla mamma, in cui appunto annunciavo di scrivere una poesia, quindi materialmente è una cosa che mi viene istintuale.

Adesso che è passato un po’ di tempo, continuo a scegliere la poesia perché ritengo sia un veicolo, un codice comunicativo incredibilmente importante, perché riesce a comunicare, a gestire concetti molto forti, anche aggressivi. La poesia potrebbe per assurdo dire delle cose cattive in modo assolutamente non violento e questa cosa della non violenza per me è molto importante.

Anche quando voglio essere polemica, quando mi voglio scagliare contro quelle condizioni contro le quali scrivo e cioè il patriarcato bigotto, il maschilismo, il disprezzo per le donne, la misantropia tout court, ritengo che la poesia sia uno dei mezzi migliori perché in ogni caso non può essere violenta.

Quanto è difficile fare poesia in Italia oggi, secondo la tua esperienza e secondo anche il tuo punto di vista?

Scrivere poesia è per me bellissimo, il problema è poi diffonderla, ti racconto un po’ quello che accade. Molto spesso i giornali non recensiscono poesia, oppure i book blogger non leggono poesia e quindi non ne parlano o ancora le case editrici non pubblicano poesia e se la pubblicano lo fanno a pagamento, a differenza delle opere in prosa.

Questa, per esempio, è una cosa che condivido con il mio editore, Giordano Criscuolo di Etica Edizioni, che è stato correttissimo sin dall’inizio. Loro sono una casa editrice non a pagamento e con loro condivido il pensiero che è immorale chiedere soldi per pubblicare e che sarebbe bello se un giorno fosse introdotta una legge che rendesse l’editoria a pagamento illegittima, illecita.

Vuoi pagare per essere pubblicato o vuoi pubblicare in self? Chiamalo in un altro modo. L’editoria, secondo me, secondo il mio editore, secondo tantissimi scrittori, nonché lettori deve essere assolutamente gratis.

Poi, ovviamente, ci sono i critici, quelli che hanno esperienza, che scartano a prescindere un manoscritto fatto da una donna relativamente giovane, contenente poesia, perché hanno il preconcetto che possa essere la solita roba melensa che gira facilmente sui social.

Queste sono, purtroppo, realtà con le quali si devono fare i conti. Ad ogni modo, non mi scoraggio, considera che il mio libro è scritto da una donna, parla di poesie ed è uscito durante il covid!

Abbiamo lavorato all’editing durante i mesi della clausura da covid ed è uscito a giugno, il periodo peggiore sia per essere letto che pubblicizzato. In realtà spero di riuscire a volgere questa condizione obiettivamente ostile a nostro favore, nel senso che comunque è un atto di coraggio. Spero che sia preso come tale, che qualcuno lo apprezzi e che comunque, in qualche modo, riesca a girare, nonostante tutte queste difficoltà oggettive.

Naturalmente sono assolutamente grata a tutti quelli che hanno apprezzato il mio libro: amici, conoscenti, anche gli sconosciuti che mi scrivono, mi mandano le foto del libro tra le loro mani (ho fatto una gallery con le foto delle persone che hanno acquistato il libro e che mi hanno mandato lo scatto). Per loro ho tutta la mia la mia gratitudine, perché mi spingono a continuare.

Nel tuo ultimo lavoro prevalgono temi femministi e quindi ti chiedo: che idea ti sei fatta del femminismo di oggi rispetto a quello del passato?

Il femminismo è una caratteristica che ho in me da sempre, perché mia mamma era sessantottina, avvocato divorzista e mi ha materialmente trasmesso il valore di sapermi e potermi opporre a queste dinamiche perverse, sia a livello sociale che, eventualmente, a livello domestico, cosa che per fortuna non è mai capitata e che non capiterà mai. Diciamo, però, che in generale è proprio un fatto di formazione della personalità, poiché mi ha cresciuta pensando che in ogni caso ci si può opporre a queste dinamiche.

Per quanto riguarda il il femminismo, penso che adesso debba essere tarato su canoni e comportamenti diversi rispetto al passato. Possiamo datarlo più o meno come inizio nel 1800. Prima del 1800 i soprusi sulle donne erano fortissimi e diffusissimi in tutte le latitudini e in tutte le condizioni. Con la nascita dei movimenti femministi (chiaramente non sto parlando dell’Italia, perché in Italia sono arrivati un bel po’ dopo), la reazione è stata violenta anche da parte delle donne, perché allora era necessario magari rispondere a un comportamento violento, con un altro comportamento violento, sebbene ritengo che comunque le donne declinino la violenza in modo diverso e i fatti storici ce lo raccontano chiaramente.

Penso che in una società garantista come la nostra, soprattutto a livello di diritti (la nostra Costituzione è una delle più belle e io ne sono innamorata), gli strumenti per difendersi e per affermarsi ci stanno tutti. Il problema è meramente culturale, occorre mettere da parte l’aggressività, che è sta indispensabile nel passato, e si deve tendere a una rivoluzione culturale che porti al buon senso, che porti a una effettiva parità, che non porti a un sopruso dall’altro lato.

Non ci serve il maschilismo dall’altro lato che chiamiamo femminismo, sarebbe comunque una forma di violenza. Adesso serve crescere bambini consapevoli del fatto che tra maschietti e femminucce non ci sia assolutamente nessuna differenza. Per esempio, una cosa da cui partirei, ma è veramente dura, perché ancora purtroppo è diffusissima, è il sessismo nei giocattoli.

Fin da subito, giocattoli e letture vengono catalogati per maschio e per femmina, in modo molto forte e qualsiasi tipo di famiglia, in qualsiasi tipo di condizione sociale, accetta come se fosse normale che i maschietti debbano leggere un certo tipo di lettura e giocare con un certo tipo di giocattoli e le femminucce con un’altro.

Naturalmente le mamme scelgono liberamente cosa dare, però, se vai nei negozi, il mini ferro da stiro illustra una femminuccia che stira, parentesi ho un bambino piccolo che ha la sua cucina, che ha il suo ferro da stiro, la sua aspirapolvere e adora usarli perché imita me, mentre magari armi, macchine e soprattutto le robe scientifiche tipo telescopi hanno più maschietti raffigurati nelle confezioni.

Questa è una cosa abominevole, perché dai un imprinting, anche involontario. Posso pure regalare un microscopio a una una bambina, però, vedendo sulla scatola un maschietto, penserà che sì, lo può usare a casa, ma magari riterrà quello un lavoro da maschio e quando crescerà penserà che sia giusto prendere il 30% in meno dello stipendio che a parità di mansione prende un uomo. Questa è una cosa inaccettabile ed è da questo che si deve partire, ne sono fermamente convinta.

Siamo arrivate all’ultima domanda. Solitamente chiudo le interviste con un messaggio rivolto alle donne di domani, ma nel tuo caso, permettimi, vorrei approfittare e chiederti un verso da dedicare a chi è nato donna nel fisico o nella mente.

Sì, lo faccio con tutto il cuore, specificando che in realtà, anche se la mia poesia sembra indirizzata alle donne, per essere femministi non bisogna necessariamente essere donne o avere la mente da donna, chiunque può essere femminista, chiunque dovrebbe essere femminista.

Il mio augurio è che si possa iniziare a veder crescere nuove generazioni non solo ricche di valori positivi, diversi da quelli del passato, ma anche con il coraggio di cambiare le condizioni sociali di cui abbiamo parlato e di cui veramente non se ne può più. Concludo con l’ultimo verso della mia poesia “Appartenenza”.

È terra che non comprendo
e scrivo con parole rabbiose
la mia incompiutezza di cristallo
che vale in dono seme fecondo
da spandere con premura
ove non cresce protesta ai cieli,
per lasciar germogliare
-d’abisso al domani-
nuove madri di futuro.

Se vi va di sentire l’intervista, vi invito a cliccare sul seguente link:

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