Qualche settimana fa sono stata nella Riserva del Plemmirio, vicino Siracusa, un luogo dalle acque cristalline che, naturalisticamente parlando, vale la pena visitare. Doveva essere una vacanza relax, ma lettino-mare, mare-lettino alla lunga ti stancano e per me non è vacanza, se non macino chilometri.

Insieme all’allegra combriccola, composta da marito che sarebbe rimasto comodamente disteso in riva al mare e figlia che in piscina aveva trovato il proprio habitat naturale, sono andata a visitare Scicli.
Non vi dice niente? Probabile.
Se vi dicessi: – Montalbano sono!
Già sorridete, vero?

Scicli è un paesino siciliano, sede del Commissariato più famoso di Italia, quello di Vigata.
Come chiunque si trovi a Scicli, anche io mi sono lasciata affascinare da questi luoghi, visti puntata dopo puntata in TV. Un giro turistico che ti riporta ai tanti casi affrontati da “Salvuccio”.
Abbiamo così visitato la stanza del Questore e il noto Commissariato. Quest’ultimo mi ha riportato alla mente le tante donne affascinanti, spesso e volentieri provocanti, che si sono avvicendate su quelle sedie in cerca dell’aiuto del buon Salvo.

E così mi son detta: – Chi sono queste donne?
Sono donne avvenenti, a volte colpevoli, a volte no, che, nella quasi totalità dei casi, hanno usato il proprio fascino per nascondere qualcosa.

Ora, il commissario Montalbano risulta essere nato nel 1950, quindi, volendo contestualizzare, non possiamo di certo dare la colpa alla cultura di un tempo. Le donne di Vigata non appartengono a epoche lontane, tutt’altro.
Nonostante ciò, quello che si porta avanti è lo stereotipo della donna bella e, pertanto, di facili costumi, una “fimmina tinta” come si dice nel mio dialetto.

Amo il Commissario e quando lo danno in TV è per me un appuntamento fisso, non voglio di certo fare l’opinionista “de’ noantri”, ma penso valga la pena fare una riflessione.
Puntata dopo puntata, veniamo assorbiti da un’idea di donna assoggettata all’uomo e appartenente a una cultura patriarcale che non corrisponde alla cultura mainstream in cui si muove il nostro commissario. Dunque, oltre a dare un messaggio distorto in termini di contesto storico-culturale, la serie non fa altro che alimentare stereotipi ancora oggi esistenti che, con tanta fatica, quotidianamente tentiamo di scrollarci di dosso.
Tra una risata e una battuta, passa il pericoloso messaggio dell’uomo “fimminaro” e della donna preda che ricorre sempre al salvataggio fisico o psicologico del buon commissario.

Non intendo criticare le capacità letterarie del buon Camilleri, non ne avrei di sicuro le competenze, ma permettetemi una riflessione. Oltre che per gli splendidi luoghi visitati e per il sano rispetto della legalità, penso che questa serie funzioni anche per gli stereotipi da bar che fanno comodo alla massa di entrambi i sessi: agli uomini che, così facendo, non avvertono la “minaccia” dell’evoluzione femminile e alle donne che rimangono sicure nelle vie tracciate dalla cultura dei nostri nonni.
E così, dietro una trama pulita e a tratti folkloristica, si insidia una una visione arcaica che rischia di instillare l’antica misoginia di cui, in realtà, mai ci siamo liberati.

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