
Il 20 marzo del 1994 Ilaria Alpi e il suo operatore Miran Hrovatin vengono assassinati a Mogadiscio.
Ilaria aveva 33 anni ed era una giornalista della Rai che stava lavorando a un’inchiesta sul traffico d’armi da parte dei signori della guerra somali.
Questa inchiesta l’aveva condotta anche a scoprire un traffico di rifiuti tossici che vedeva coinvolti i paesi industrializzati e i paesi poveri dell’Africa, i quali, in cambio di tangenti e armi, avrebbero stivato questi rifiuti nelle loro terre.
Luciana e Giorgio Alpi sono morti senza ottenere la verità e dopo “27 anni ” il caso non è stato ancora risolto: per Ilaria e il suo operatore non c’è ancora stata giustizia.
Depistaggi, indagini fatte male, testimoni falsi: nel 2003 la camera dei deputati deliberò l’apertura di una commissione d’inchiesta che avrebbe avuto il compito di far chiarezza: una morte casuale deliberò l’avvocato Carlo Taormina.
L’analisi dei fori dei proiettili presenti sull’auto esaminata dimostra che si trattò di un agguato.
Dopo due anni, la procura di Roma, analizzando il sangue presente sull’auto, giunse alla conclusione che questo non apparteneva a nessuno dei due giornalisti e l’auto presa in esame, sulla quale viaggiavano era, in realtà, un falso, pagato dalla commissione parlamentare 18.200 dollari.
Perché, dunque, Ilaria è stata uccisa?
Al momento ci sono solo ipotesi, ma quello che aveva scoperto poteva dare tanto fastidio.
L’intervista fatta al signore della guerra di Bosaso, Abdullahi Mussa Bogor, parlò di presunti stretti rapporti tra alcuni funzionari italiani con il governo di Mohammed Siad Barre alla fine degli anni ottanta.
Il 4 ottobre 2019 il giudice per le indagini preliminari di Roma, Andrea Fanelli, aveva rigettato, per la seconda volta, la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Roma disponendo una nuova tranche di indagini.
Il magistrato aveva disposto che venisse ascoltato il direttore dell’Aisi al fine di verificare la “persistenza del segreto” sull’identità dell’informatore di cui si fa riferimento in una nota del Sisde del 1997.
Nella relazione dei servizi segreti “emergerebbe il coinvolgimento dell’imprenditore Giancarlo Marocchino nel duplice omicidio nonché in traffici di armi”.
Il giudice, inoltre, aveva chiesto alla Procura accertamenti in relazione al ritardo con cui era stata trasmessa, nell’aprile del 2018, da Firenze la trascrizione di una intercettazione tra due cittadini somali in cui i due parlando di quanto avvenuto a Mogadiscio, affermando che Ilaria è stata uccisa dagli italiani.
Infine, il giudice aveva disposto di acquisire atti relativi al fascicolo di indagine sulla morte del giornalista Mauro Rostagno, ucciso dalla mafia nel 1988, per verificare eventuali punti di contatto tra le due storie.
Sì, perché la vicenda di Ilaria incrocia quella in cui si era imbattuto Mauro Rostagno, giornalista stanziato a Trapani, circa una pista di traffico d’armi con destinazione Somalia, mascherato, in realtà, da aiuti umanitari.
Altro punto di collegamento è Giuseppe Cammisa, alias Jupiter, braccio destro di Francesco Cardella, colui che aveva fondato la Comunità Saman insieme proprio allo stesso Rostagno.
“Si è accertato che Giuseppe Cammisa e Francesco Cardella – scrive la Corte d’assise di Trapani – sono stati in Somalia una o più volte e che Cammisa vi è stato nel marzo del 1994, inviatovi da Cardella per portare aiuti umanitari, in vista della costruzione di un ospedale (costruzione che non è mai neppure iniziata).
Cammisa sarebbe stato inoltre uno degli ultimi a vedere in vita la giornalista del Tg3.
Secondo quanto emerso al processo Rostagno tra i due ci sarebbero stati contatti diretti legati a uno specifico interesse della giornalista uccisa a conoscere i percorsi delle imbarcazioni di tipo militare che per volontà di Francesco Cardella l’associazione Saman acquistò dalla marina svedese.
Molti collegamenti, forse troppi e 27 anni dopo ancora nulla.
Oggi ricordiamo Ilaria, ricordiamo la sua morte, ma soprattutto il suo operato, allo scopo di tenere viva l’attenzione dell’opinione pubblica, affinché giustizia venga fatta.
fonte “Il Fatto quotidiano” e “Spotlight: Divieto di accesso. La storia che Ilaria e Miran non hanno potuto raccontare”
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